Santo subito



“Saddam Hussein che raccoglie i fiori„. Olio su tela di canapa, 100 x 80 centimetri, seconda metà del ventesimo secolo.

Stretta finale

Pieni di canditi e quant'altro guardiamo lo specchio chiedendo clemenza, un'altra bugia. Ancora qualche giorno di strapazzo poi si tornerà nelle città urbane. Io invece che vivo di questa periferia dimenticato da Dio, come si dice, aspetto l'arrivo nella linea adsl che almeno in parte, ridurrà la distanza da quella parte di centro che ho abbandonato ormai da troppo. Una voce mi fa compagnia e la sera trascorra serena. Sto recuperando le forze per stringerti ancora a me.

Abbozzi inediti 3

Non l’avevo più vista in giro: - Strano - pensavo di tanto in tanto; altre volte: - Mi farebbe piacere rivederla -; altre ancora: - Era bella però! - ma l’impegni e le distrazioni di quel periodo limitavano le mie riflessioni a queste banali osservazioni.
In aprile, inopportuno mese, mi ero preso qualche giorno di riposo per svuotare la testa e tornare in forma al lavoro, uno progetto per l’editore E. Una specie di lavanda encefalica dopo una massiccia intossicazione culturale.
Sistemavo in cucina i resti della cena della sera prima quando un’ombra oscurò il cestello della lavastoviglie, alzai gli occhi spaventato verso la finestra che dava sul giardino e la vidi. Era lei.
Il suo seno generoso si faceva notare, anche attraverso il vetro unto e polveroso, ma io che gliel’avevo già toccato e assaggiato paziente più volte in passato non feci fatica a trattenermi e a guardarla negli occhi senza distrarmi: - Entra! – e le aprii la portafinestra.
Indossava una gonnina fresca, una di quelle che metteva appena dopo una accurata depilazione.

Si sedette sulla poltrona del soggiorno e rimase allungo in silenzio con lo sguardo rivolto al terrazzo ingombro di una serra di piante ormai secche. Io pure me ne stavo zitto in cucina guardavo un programma di cucina in tv, e zitto le portai da bere un succo alla carota, lo posai sul tavolino cercando di essere garbato, si voltò appena abbozzando una smorfia.

Da quando mi era apparsa in quel modo assurdo alle spalle, era passata più di mezz’ora e ci eravamo detti soltanto:
Lei: - Ciao, come va?
Io: - Bene, sono vivo
Si alzo poco dopo aver svuotato il bicchiere e mi venne a cercare in cucina. - Che fai? - bisbigliò mentre ispezionava l’ambiente con uno sguardo da cagna.
- Provo ad annoiarmi con la tv, ho assoluto bisogna di noia.
- Non esser cretino - e mi baciò di striscio le labbra. Avrei a quel punto, anche potuto togliermi i calzoni e possederla lì in cucina, vicino allo spremi agrumi di Stark, ma rimasi fedele al mio progetto di noia.
- Sei stata fuori? - chiesi per farle usare le labbra in altro modo rispetto a quello che magari aveva in mente.
- Sì - disse - Francia -
- Non da sola immagino? – si era seduta intanto. Non ricordo cosa rispose, fu evasiva se la cavò con un battuta cretina, sulle doti di puttana che gli altri, uomini e no, le attribuivano.

Il resto? Poi come è andata? Un attimo…
Ho ricercato nella agenda di quell’anno la pagina di quel giorno: è bianca. Ricordo di non esserci stato al letto ma… La chiamo, forse lei ha più memoria. Dov’è il numero. 339-707****.

Spento.

Potrei ipotizzare un ricordo, perché no? Mi conosco, ho meglio, conosco la persona che ero quel giorno in aprile e conosco, ho un ricordo, di ciò che lei era in quel periodo. Conosco anche la città dove vivo, casa mia e i posti che ci piacciono e in cui magari saremmo potuti esser stati. L’idea mi piace e ci inizio a lavorare.

Fece per alzarsi, si mostrava arrabbiata indispettita, ghignava, ma la parte le riusciva male, la guardai serio e lei rise di gusto.
- Devo fare pipì – disse carina.
Quando tornò mi si sedette vicino, e accarezzandomi d’amica mi chiese sincera quanto più le riuscì: - Sei arrabbiato con me? – Feci finta di credere al suo interessamento – No, dovrei esserlo? – lei non rispose, si alzò e aggiunse truccata appena d’allegria – Dove mi porti?

Eravamo in via Candia, la facevo guidare - le piace - io ascoltavo la radio e guardavo di fuori distratto, lei confessava qualche cosa di suo, come quando si fanno vedere le foto di ritorno da un viaggio. Mi voltavo verso di lei di tempo in tempo, era bella e faceva l’ingenua. Si fermò a un semaforo, questa volta fui io a baciarla appena, fu stupita ma il verde ed il clacson del solito idiota interruppero ogni cosa. Per un po’ ci fu silenzio.

Abbozzi inediti 2

E’ una claustrofobica mattina di aprile. Il tram è fermo al capolinea e aspetta triste gli immigrati. Chi esce dal bar, guarda il cielo in cerca di nuvole e pioggia. Aspetto anch’io da dietro una tenda scostata. Oggi fanno due mesi che non ci vediamo. L’ultima volta fu da te, ti venni a prendere in auto dovevi ritirare un voluminoso pacco dalle poste centrali, tu di certo non ricordi.
Quella mattina mi venisti ad aprire con addosso il sonno e una deliziosa quanto sgualcita maglietta. Non me la presi, sapevo bene che la sveglia che tieni sotto il letto, aveva ormai i meccanismi ossidati dal liquido che le pile scariche hanno rilasciato, e che taceva da un pezzo. So anche, che in lontananza si può ascoltare un orologio dal rumorosissimo meccanismo, che nella sala da pranzo, e solo lì, indica un’ora, l’ora approssimativa, che tu però, preferisci definire incerta. Prendemmo un caffè. Il tuo, privo di zucchero, lo assaporasti lentamente. Il caffè per te, oltre ad essere un rito – come lo fu per tua madre e tua nonna – è un momentaneo rimedio al quel sonno che definisci, argomentando con libri e ritagli di riviste: patologico. Le tazzine poi, diverse fra loro (troppi servizi hai scompagnato) le posasti su di una pila di altre stoviglie quasi a voler creare buffa composizione artistica, che smantellerai, ti visto farlo altre volte, gettando seccata tutto nella lavastoviglie.
Ti trascinasti, per casa con le ciabattine infradito osserando quasi stupita angoli carichi di nuove sporcizie:
DA FARE
annotasti su un pezzetto di carta recuperato da una vecchia agenda. Odioso comportamento

Domani compirai trenta anni. Me ne sono ricordato, che credi! Nulla di strano, dato che (lo sai benissimo), inizio a pensare a questo giorno già dai primi del mese. Mi soffermo scrupoloso sulle vetrine dei negozi più disparati (disperati specialmente – sono questi quelli che più ti piacciono), a caccia di un regalo adatto a te, che poi oltretutto non ho mai il coraggio di consegnarti.

Che ci vuoi fare. Ho un cassetto pieno di pacchettini in camera da letto. Lo aprirò, come faccio ogni anno, solo domani per stiparci anche quest’ultimo nuovo. Chissà che un giorno non te li porti tutti assieme ai relativi bigliettini:
1998 Ritorno di senso;
1999; […]
2000, Scusa se non è una sorpresa;
2001, l’ho scelto con cura, abbine.

Abbozzi inediti 1

L’avevo incontrato per caso a guerra finita. Era in via *** già da qualche giorno, mi disse, dopo un breve racconto di quei tragici giorni, poi aggiunse seccato: “Tu dov’eri durante i bombardamenti?” non guardandolo in volto mormorai: “Ero fuori città, ho una casa in campagna, lì abitavano i miei”. Facemmo un pezzo di strada a piedi in pianura fra i resti di qualcosa d’antico, da un tram fermo ci sentimmo chiamare: “Cercano pane” disse. Mi fermai guardandolo, Berto rise strano e continuo zoppicando. La strada in quel tratto proseguieva in discesa e Berto faceva fatica, trascinava la gamba sinistra e di tanto in tanto tratteneva una smorfia di dolore o forse era il viso provato che riusciva a mimetizzarla.
Giunti in via del Rosario, trovammo una piccola folla stranamente ordinata: ci accodammo pazienti per riuscire anche noi a mangiare qualcosa. In fila discutemmo con gli altri - molti erano forestieri o dei paesi vicini - i perché della guerra, in uno strano accento un ragazzo sospirò: “Giusta o ingiusta che fosse è finita”, a quel punto molti tacquero e io ero fra questi; Berto, invece, continua a discutere acceso si fermò soltanto davanti alla zuppa ed il pane. Lo Salutai dopo il pasto, e promisi di passarlo a trovare: “Resti a via *** ?” chiesi prima di andare, fece cenno di sì e continuo la sua arringa, presi ciò che era mio e mi mossi.

Splitting

Dopo il cinema - un film di un regista coreano di cui parlarono il giorno seguente a pranzo anche con me, che non l'avevo neppure visto – salutarono il resto della comitiva e andarono a bere un mojito in un piccolo pub di S. Lorenzo, locale che da qualche tempo, da quando si erano messi assieme, frequentavano assiduamente.
Lui la fece divertire, raccontandole certe storielle davvero spassose: in una c'era un tizio che aveva una tale voglia di bignè alla crema che salì all'ultimo piano de un gratacielo minaciando de butarsi se non gliene avesero pordati almeno quatro, chissà dove le andava a pescare. E aveva poi un modo tutto suo di guardarla e di parlarle in un italiano scempio, che la facevano sentire speciale, lo potrei giurare, più di un poco.
Dopo un ultima sigaretta, che divisero, uscirono e fecero una lunga passeggiata. Il caldo di quel periodo non gli impedì di starsene stretti l'uno all'altra per gran parte del cammino, che li condusse fino a casa di lei. Salirono . Filomena ebbe qualche difficoltà a centrare la toppa della porta dato che la luce del pianerottolo era fulminata, ma Panfilo la soccorse prontamente con l'accendino. Entrarono. La casa, che divedeva con una scontrosa ragazza di Lequile, paesino in provincia di Lecce, era piccola e non proprio pulita. Due stanze da letto, un bagno minuscolo, una cucina abitabile-imvivibile e un ingressuccio che fungeva da salotto. Panfilo chiese qualcosa da bere. Lei scelse due bicchieri da un pila che stava in bilico sul lavandino e gli sciacquò diligentemente con un poco d'acqua fredda. Aprì poi il frigo, un vecchio Ignis mezzo arruginito, e ne tirò fuori un'anonima bottiglia di birra. La stappò e versò il liquido nei bicchieri. Panfilo guardò tutta l'operazione seduto su di una seggiola sgangherata e bevve la birra in un sorso per non sentirne il sapore.
Restarono in silenzio per un pezzo. Lei andò a sederglisi addosso, lui la baciò dolcemente scoprendo così l'amaro gusto di quella birra scadente, e teneramente abbracciati per poco non caddero a terra. Risero, e si baciarono nuovamente e più a lungo. Lui le tirò su la maglietta, quella che le comperai io al concerto dei Nomadi, e cominciò a morderle il seno, mentre lei lo accarezzava teneramente. Si alzarono quasi di scatto, tornarono nuovamente a baciarsi sulla bocca con più foga, avidamente. Panfilo spinse il suo sesso verso quello di lei. Corsero nella stanza da letto. La camera di Filomena parve a Panfilo uno di quei banchetti di vestiti usati: TUTTO A 5 EURO, che si incontrano spesso nei numerosi mercatini romani. Si gettarono sul letto sfatto rovesciando il posacenere che vi era appoggiato. Lui si tolse la magliettina, Hard Rock Cafè Istanbul e le sfilo la sua. La luce della strada filtrava dalla finestra e le illuminava il volto ed il seno di spudorato candore. Panfilo dopo una breve visita sui capezzoli, passò allo sterno e giù al ventre e più giù ancora sbottonandole i pantaloni a vita bassa. Lei cercava di concentrarsi e si tolse i sandali peruviani, lui era sotto un poderoso bombardamento ormonale, a cui non c'era scampo, al quale non volle trovare riparo. Si tolse le adidas che indossava senza calzini. Tornò a baciarla sulle labbra e sul collo, mentre lei provò a spogliarlo. Gli scese i Levi's e li getto lontano, caddero su di una scrivania ingombra di cartine, filrtini, fotocopie e dischi pirata. Gli tolse anche i boxer, resto nudo. Il suo sesso era vicino al volto di Filomena: «Non vorrà che gli faccia un pompino», pensò. Cercò di spostarsì più in alto. Panfilo capì, e buono buono imboccò la solità strada.
Giacevano di fianco, lui le stava dietro muoventosi in modo randomatico. Gentile le sussurrò in un orecchio a che punto fosse e fece una smorfia strana, era evidente che stesse per venire. Fu in quel preciso istante che Filomena si perse. Quell' espressione gli rammento suo padre il giorno in cui ebbe il menarca. Era una mattina di novembre, la mamma era fuori, Filomena entrò in cucina assonnata come sempre. Il padre in piedi al centro della stanza bevava un amaro caffè. La guardò prima distrattamente sorridendole, poi si accorse che il suo pigiamino con gli orsetti gialli era sporco di rosso. Rabbrividì e distolse lo sguardo imbarazzato. Gli si avvicino per baciarlo, ma lui si ritrasse, la respinse quasi, facendo quella stessa smorfia che ora appariva sul volto contratto di Panfilo.
Di lì a poco lui venne miseramente compiaciuto. Dopo qualche carezza e bacio doveroso si alzò per andare a pisciare, accese la luce del bagno e si tirò sul il prepuzio per indirizzare meglio il getto. Lei in camera già fumava l'ultima Merit di un vecchio pacchetto recuperato sotto il letto nell’atto di cercare gli slip.

Pierino è l'insegnante di matematica

Tutti fin dalle medie abbiano fantasticato sulle insegnanti, guardavamo le loro gambe sotto le cattedre e poi a casa gli davamo di martellino. A quell'età il pistolino è sempre dritto e il testosterone da alla testa, lo ficcheresti in qualunque buco e con quello strumento fai gli esperimenti più strani. Accade però in una scuola nei pressi di Milano che un ripetente, bocciato due volte, assieme a due suoi amici si chiudano in un'aula a fare roba con la prof. di matematica. L'insegnante raggiunta al telefono da un giornalista del corriere si giustifica dicendo che lei non era nuda e che sono il ragazzo più grande, che pensava avesse 16 anni, aveva i pantaloni calati. Ammette poi di avere avuto con l'alunno un'amicizia particolare ma di non averci mai fatto sesso, ma solo innocenti seghe. La scuola in cui la notizia era nota già da qualche giorno voleva mettere tutto a tacere, poi la solita insegnante repressa assieme un gruppo di genitori ha denunciato la giovane e ingenua supplente, la quale tornata nel suo paese di origine in Molise prega che il suo nome non venga divulgato. Come tutto sia iniziato, è stata la stessa insegnante a raccontarlo a un maresciallo del paese in cui ha sede l'istituto e poi al capitano della Compagnia di Desio. «Quel ragazzo aveva problemi in matematica. Così come gli altri quattro compagni. Lunedì mattina eravamo d'accordo che ci saremmo trovati per un'ora di recupero sottratta a educazione fisica. A un certo punto, ha iniziato a farmi domande esplicite sul sesso e sulle mie abitudini sessuali. Mi ha chiesto se facevo l'amore con il mio fidanzato, io che non ho neppure un fidanzato...». Domanda dopo domanda, «mi sono ritrovata a discutere di certi argomenti senza neppure rendermene conto».. Ora fuori dalla scuola non si parla d'altro. In un mare di volgarità e dettagli pornografici — senza distinzione tra maschi e femmine — radunati nella piazza centrale i piccoli parlano e riparlano della professoressa. Una protesta: «E non era neanche bella: aveva il viso pieno di brufoli». Uno sbuffa: «Io non c'ero. Purtroppo».

Agosto

Ci presentarono in un piovoso pomeriggio, ero uscito a bere qualcosa in un bar nei pressi del porto incurante delle avversità atmosferiche con ai piedi dei sandali e indosso dei pantaloncini e una maglietta grigia con stampata una frase di Sepulveda. Mi disse che aveva visto delle mie opere in una personale che si tenne nel cortile del municipio di Veglie nell'estate nel 1982. Finsi di ricordare. - Ho anche un suo autografo - concluse.
Ero stanco, e poi il tempo cattivo risvegliava qualche vecchio acciacco e mi rendeva nervoso e di cattivo umore. Ma dato che nel mio corpo siamo in due a ragionare e per di più io mostro spesso scarso potere decisionale, andò a finire che venni persuaso a invitarla ugualmente da me.
Quel anno, quel estate, non avevo affittato la solita casa per via di alcuni problemi che durante la passata stagione mi trovai ad dovere affrontare con il padrone di casa, poi, e con sua moglie prima di lui. Tuttavia la nuova sistemazione mi convinceva parecchio, vuoi perché la proprietaria era una anziana donna quasi prima di denti e mia lontana parente, così almeno diceva lei, vuoi anche perché la casa aveva nel paese una posizione migliore: più strategica.
Entrammo, le feci strada. L'ambiente era poco luminoso, anche lei lo notò:
- C'è buio - disse.
Aprii le imposte, di una finestra che dava su di uno strettissimo vicolo:
- Va meglio così? - le chiesi. Fece cenno di sì con il capo e sorrise.
Nel mezzo della stanza di ingresso campeggiava su di un cavalletto un dipinto solo abbozzato, in cui una donna veniva decapita, si soffermò a osservalo, la interruppi:
- Ti piace, Angela? - ero già passato al tu e le mettevo una mano sulle schiena. Si voltò verso di me, restammo in silenzio per un attimo, solo allora mi accorsi che fuori il temporale era cessato. Senza dire altro, e senza guardarmi si alzò la gonna e con forza mi costrinse a inginocchiarmi facendo pressione sulle spalle. Le scesi le mutandine e non seppi fare meglio che infilarle dentro un dito.
- Ha per caso una laurea in ginecologia? - domandò scoppiando in una sana risata. Intuii il senso di quella battuta e l'accontentai anche se, lì a terra, in ginocchio, il dolore alla schiena divenne insopportabile, non potevo di certo stringere i denti!
Chissà come avrà interpretato quelle smorfie dovute allo stato delle mie malconce vertebre lombari? Più tardi, quando andò via sbattendo la porta indispettita da una battuta decisamente fuori luogo che proprio non seppi trattere, risolsi tutto con una supposta di Voltaren. Fu solo in quella dolce penetrazione che trovai l'unico sollievo di quell'uggioso pomeriggio.

Good morning usa

Ieri il presidente degli Stati Uniti George W. Bush avrà sicuramente dato fondo alla sua riserva di whisky per mandare giù la pesante sconfitta ottenuta nelle elezioni di medio termine. Gli americani hanno dunque bocciato la strategia adottata contro l'ex-dominio di Saddam Hussein costringendo il ministro della difesa Donald Rumsfeld a presentare le sue dimissioni. La vittoria del partito democratico sia al senato, anche se andranno ricontati voti della Virginia, che alla camera produrrà necessariamente un cambiamento di rotta nella politica totalitarista portata avanti negli ultimi anni ha partito repubblicano. L'America ha dimostrato di essere una democrazia matura che - come scrive Mauro nel suo editoriale di Repubblica: - "sa fare una valutazione politica generale, votando contro una leadership ideologica, una guerra sbagliata, una cultura politica antimoderna, che separa per la prima volta l'America dal mondo".

Cocacolapatatinegigomme

Fu sempre così, già da ragazzo, un ragazzaccio che si lavava poco poco e sorrideva di rado, un animaletto randagio, credetemi: è stato sempre così.Usciva di casa quando il sole era alto e l'asfalto bruciava: niente compiti, niente scuola, niente catechismo o servirmessa. Una bici, e per compagnia le parole e i pensieri solitari nelle strade deserte del dopopranzo assonnato. Gli amici, perché di amici ne aveva, uscivano più tardi dopo i sani compiti e la mammamerenda. Ci si incontrava nel cortile di quel borghesello complesso di palazzine a lui estraneo e famigliare. Ogni giorno una spedizione, un'avventurosa missioneimpossibile; con le donne - le femminnuccie da primoseno - lasciate ai loro progetti amorosi fra le Barbie e i Big Gim. Il sesso femminile, la cosina, per i giovanetti era un mistero giocoso. E' chiaro che ne avevano viste di fessurine pelomunite, sulle riviste specializzate: più tardi alcuni, ebbero ben chiara la differenza fra vedere e sapereassaggiare, altri più tardi ancora. Poi comunque si tornava stanchi e le si trattava da pari come ometti pure e loro con i primi baffetti, e qualcuna già signorina. Non dirò altro per ora. Farò, sul finire.

Bestie immonde

A Ferentino, comune della campagna laziale, un tredicenne un diciassettenne e un sedicente hanno fatto violenza sessuale su di una bambina di 12 anni per diversi mesi. Ferentino è il comune di residenza di Federica che in più ricorderanno con lo pseudonimo di Ruspacchione. Questa bestia che io cercavo di domare con il mio aspersorio era davvero immonda. Savio e Massimiliano ricordano la sua valigia piena di cianfrusaglie aperta nel centro della mia camera da letto con a fianco degli orrendi sandali con i tacchi ribattuti. Io ricordo di averla mandata a casa piangendo senza mutande. Le cronache oggi parlano di Ferentino come di un luogo degradato dove mancano i divertimenti e i giovani in preda alla noia possono commettere crimini di questo tipo. Io mi ricordo che Ruspacchione, me lo ha raccontato lei, tirava seghe a destra e a manca e a chi la dava a chi la prometteva. Roberto la prendeva in giro per le sue orecchie a sventola, a me diceva che con lei potevo prendere assieme tele+ e stream, non eravamo ancora nell'era sky, senza pagare l'abbonamento. Era una trucida ma io sento ancora di ringraziarla.

Cene

Ce ne stavamo belli e zitti a guardarci la bocca. Ero attento a non fare romori con il palato, la forchetta, il buco del culo. L'antipasto era stato servito: ricco e unto come a me piace e il primo lo terminavamo in quel momento: gnocchi al sugo di lepre. Si passò il fazzoletto che aveva sulle ginocchia sulle labbra e disse: - Squisiti. Io annuii. Poi aggiunsi: - Aspetti che arrivi il dolce.
Quella mattina eravamo stati a vedere assieme una mostra di un'artista cileno, Marcos della Poia, lei era entusiasta e lo elogiava anche in sua assenza, io ero rimasto un po' deluso: - Una buona tecnica - le avevo detto - ma...
Il secondo lo portarono dopo un poco: involtini quattro stagioni. Mi servivo il vino, lei non ne beveva, - Speriamo che almeno beva il resto più tardi - pensavo. Un'otturazione mi dava fastidio. Il locale si andava svuotando. Fummo tra gli ultimi a chiedere il conto. Feci chiamare un taxi. Uscimmo. Quando pronunciai l'indirizzo di casa mia all'autista, scesi la maschera e scoprii le carte.
Andiamo da lei? - Mi chiese tranquilla.
Non seppi rispondere. Alla fine della corsa scesi e le aprii galante la portiera. L'autista mi guardava allibito. Lei mi sorrise come meglio poté. Entrammo in casa. Mi chiese del bagno, glielo indicai e mi servii ancora da bere. L'alcole iniziava a fare effetto. Ci mise qualche minuto, forse perché avvertì qualcuno che non sarebbe tornata a dormire, forse perché cagò, non glielo chiesi, nè l'annusai. La gettai sul divano e poi le abbassai una spallina del vestito frugandole il seno.
Voleva ribbellarsi, almeno istintivamente, ma poi corresse la mira con una battuta: - Quando è sbronzo e ancora più stronzo - Dopo qualche minuto le ero già dentro e lavoravo da matto. Sudatissimo al fine le chiesi: - T'è piaciuto? - Mi rispose carina: - Buona tecnica ma... - A quella risi anch'io.

Myspace

MySpace è uno dei siti Internet più famosi. Acquistato l'anno scorso dal magnate delle comunicazioni Rupert Murdoch può vantare 90 milioni di utenti registrati. Su MySpace molti utenti condividono musica protetta da copyright facendo storcere il naso alle major che minacciano azioni legali. Presto questo non sarà più possibile perché la società ha annunciato di avere la licenza di una nuova tecnologia per non consentire più agli utenti di pubblicare musica protetta, e che estrometterà chi violerà la sua politica. Grazie a questa nuova tecnologia quando si tenterà di caricare un file sul sito questo verrà confrontato con quello presente in un data base di materiale con copyright, e se risulterà uguale il sistema ne potrà bloccare l'upload qualora non ci siano i diritti per farlo.

Anche YouTube, che di recente è stato acquistato da Google, ha aspirazioni simili per proteggersi da eventuali procedimenti legali.

MySpace, a cui sempre più persone si rivolgono per fruire musica e video, ha poi espresso l'intenzione di iniziare a vendere le canzoni di quasi 3 milioni di band indipendenti ad esso registrate. Le maggiori etichette musicali come: Emi, Universal Music Group di Vivendi , Warner Music Group e Sony Bmg che possiedono circa il 75% della musica più diffusa, mettono a segno un altro punto a loro favore impedendo di condividere liberamente la musica.

Primi passi, con le ruote

Alla radio la partita della Roma, che non sia anche questo un modo per tornare al centro da questa lontana periferia, questo posto dimenticato da Dio, come si dice, ma a me così familiare. Resto fermo ancora un po', aspetto ancora e m'illudo che questo sia un'attitudine del fare. e questo solo per cominciare avrò parole migliori di queste per dire.

Archivio 2006 - 2004

Clicca per accedere alla vecchia grafica e visualizzare l'archivio.

Ricordando S. Valentino

Anni fa, eravamo ancora tutti alla CIVIS (la casa dello studente nei pressi della Farnesina), io, Pazi, Prof, Cithia et illi. Il giorno di S. Valentino mi venne in mente di organizzare una festa chè volevo provarci con non ricordo più chi, ancora non sapevo che una certa ragazza già mi aspettava.
Dopo aver raccolto poche migliaia di recenti lire, andammo con Leo Flash – c’era anche una certa ragazza – a fare una spesina alcolica al GS del villaggio olimpico. In fila alla casa conoscemmo un bel giovanotto, fui io a indicarlo a una certa ragazza, credo si chiamasse Jacopo o qualcosa del genere, fatto sta che all’uscita del supermercato ci invito da lui a fumare.
Bei tempi, dirà qualcuno, era bello il CIVIS… qualcun’alto, cazzo! io.
A fine serata andai a dormire come al solito sbronzo e in solitudine, Pazi passo la notte per le strade di Roma con una comitiva in seguito mai più riproposta, gli altri non ricordo (magari possono ricordarmelo commentando questo post).
Ci accusarono per quella festa di essere bigotti e consumisti. Ora dopo tanti anni alla vigilia di un altro S. Valentino che passa, e passo da solo avevo solo voglia di ricordare teneramente.

A chi piace la patatina

Rocco Siffredi, di cui sere fa ho rivisto per l’ennesima volta il suo celebre “Rocco e le strafighe” è stato scelto da Amica Chips come testimonial dopo il già provocatorio claim ‘La patata tira’. Rocco nel giardino di una villa nelle immediate vicinanze di Buenos Aires, è come al solito circondato da fessurine di varie nazionalità, e lui che ne ha assaggiate negli anni di tutti i tipi e forme, dice di preferire la patana italiana. Slurp! Lo spot si conclude con lo slogan ‘A chi piace la patatina’. E a chi non piace? La ellepuntato tutta, io. Bravo Rocco resta un dubbio però: maionese, ketchup o... alle golosone la scelta.

Palla di neve

Ho trovato la trascrizione di una scena del film di Kevin Smith “Clerks” , da morir dal ridere.

- VERONICA: Credi che possano vederci qua sotto?
- DANTE: Cos’è, vuoi fare l’amore o una paccatina?
- VERONICA: Si può?
- DANTE: Davvero?
- VERONICA: Dai, scherzavo!
- DANTE: E’ che non ti basto mai!
- VERONICA: Tipico commento da maschio!
- DANTE: Cioè, in che senso?
- VERONICA: Se poco poco siete bravi a letto vi credete subito dei padreterni. E quello che facciamo noi non conta niente?
- DANTE: Voi? Voi a scoparvi, stringi stringi, siete tutte uguali. Basta che siate lì.
- VERONICA: Che siamo lì?
- DANTE: Portare un maschio all’orgasmo che impresa è? Tutto sta ad accoglierlo in un ambientino stretto, preferibilmente umido: spingere, rispingere…
- VERONICA: Molte grazie!
- DANTE: Mentre far godere una donna… è roba mica da ridere, eh?
- VERONICA: Ah, tu la vedi così?
- DANTE: Una donna che fa godere un uomo è normale, ma un uomo che fa godere una donna è talento!
- VERONICA: Ma con chi sono capitata?
- DANTE: Qualcosa non va?
- VERONICA: Mi sento offesa. Credimi che far godere un uomo, caro il mio dongiovanni, non è affatto semplice. “Essere lì”, come dici tu, non significa niente.
- DANTE: Uhm: toccata sul vivo.
- VERONICA: Mi ferisce che tu involgarisca così il mio ruolo nella nostra vita sessuale.
- DANTE: Ma non lo dicevo per te: il mio era un discorso in generale!
- VERONICA: Sì, un discorso che pare fatto per dei babbuini!
- DANTE: Le mie sono opinioni basate su quel po’ di ragazze con cui mi è capitato di andare a letto.
- VERONICA: E quante?
- DANTE: Quante che?
- VERONICA: Con quante ragazze ti è capitato di andare a letto?
- DANTE: Con quante ragazze? Non è la prima volta che ne parliamo, mi pare…
- VERONICA: Può anche darsi, non mi ricordo. Allora quante?
- DANTE: Fino a te?
- VERONICA: Meglio sarebbe prima di me.
- DANTE: Dodici.
- VERONICA: (indignata) Tu saresti andato a letto con dodici ragazze?
- DANTE: Te compresa? Sì.
- VERONICA: (gli dà una sberla)
- DANTE: Ahi! Ma che ti piglia?
- VERONICA: Sei un maiale!
- DANTE: Ma perché mi hai picchiato?
- VERONICA: Lo vuoi sapere con quanti sono andata a letto io?
- DANTE: Posso picchiarti pure io dopo che me l’hai detto?
- VERONICA: Tre.
- DANTE: (stupito) Tre?
- VERONICA: Tre, compreso te.
- DANTE: Sei andata a letto solo con tre uomini?
- VERONICA: Non sono il maiale che sei!
- DANTE: Chi?
- VERONICA: Tu!
- DANTE: Ma no! Chi erano gli altri a parte me?
- VERONICA: John Franson e Robert Stanslick.
- DANTE: (con vera ammirazione) Wow!
- VERONICA: Ecco perché sei un maiale! Mi fate schifo: sempre pronti a scoparvi qualsiasi cosa vi dica sì.
- DANTE: Animale, minerale o vegetale?
- VERONICA: Ti ci vedo con una paraplegica!
- DANTE: Ah, beh: sono quelle che fanno meno resistenza.
[…]
- DANTE: Ah, merda, ma perché ti alzi, adesso?
- VERONICA: Io, se non ti dispiace, avrei una lezione, tra tre quarti d’ora, io. (vede un cliente che conosce, sballatissimo) Uh, William!
WILLIAM: Oh! Ehi Ronnie… Come te la passi, bella?… Ma… Come sarebbe? Lavori qui per caso?
- VERONICA: No… Io ero… venuta a trovare il mio ragazzo. - DANTE: ti presento William Black. Lui è - DANTE Hicks, il mio fidanzato.
- DANTE: Salve! Solo la gazzosa?
WILLIAM: No, anche… anche un pacchetto di sigarette. (rivolgendosi a lei) E allora bellezza, che combini? Frequenti ancora Seton Hall?
- VERONICA: No, io mi sono iscritta al Monmouth, quest’anno. Mi sono stufata di stargli lontano.
WILLIAM: Eh… stupendo… stupendo… Sei… ancora in contatto con Sylvan?
- VERONICA: L’ho sentita giusto lunedì… ci si vede più o meno per i week-end.
WILLIAM: Oh… stupendo… Allora… statemi bene ragazzi, ci si vede, ok? (se ne va)
- VERONICA: Ciao, a presto! (rivolta a - DANTE, imbarazzata) Ehm… quello lì è “Palla di neve”.
- DANTE: Perché lo chiami così?
- VERONICA: L’idea è di Sylvan… una roba di pompini.
- DANTE: Come sarebbe a dire?
- VERONICA: Dopo che gli si fa un pompino gli piace farsi risputare… tutto in bocca con un bacio… Di qui, “Palla di neve”.
- DANTE: Cioè, lo chiede proprio?
- VERONICA: (sottovoce) Gli piace da matti!
- DANTE: Tipo disponibile, questa Sylvan!
- VERONICA: Scusa, in che senso?
- DANTE: Eh, una che fa la palla di neve a quello!
- VERONICA: Sylvan?… No, la palla di neve gliel’ho fatta io.
- DANTE: Certo, come no!
- VERONICA: Sul serio.
- DANTE: (urlando) Tu hai succhiato il cazzo a quello lì?
- VERONICA: Certo… Come facevo se no a sapere delle sue…
- DANTE: (interrompendola) Aspetta… Tu mi hai detto che hai fatto l’amore solo con tre ragazzi. Quello mica l’hai nominato!
- VERONICA: Perché con lui l’amore non l’ho mai fatto!
- DANTE: Ma gli hai succhiato il cazzo!
- VERONICA: Ci sono uscita qualche volta, ma mai fatto l’amore: solo pomiciato un po’!
- DANTE: Ommioddio… Ma allora perché mi hai detto di aver fatto l’amore soltanto con tre?
- VERONICA: Ma perché è vero che l’ho fatto solo con tre! Ciò non significa che poi non sia uscita anche con altri!
- DANTE: Santoddio, mi viene da vomitare!
- VERONICA: Mi dispiace tanto: pensavo avessi capito!
- DANTE: (urlando) E difatti ho capito che hai fatto l’amore con tre ragazzi e basta! Non hai detto altro!
- VERONICA: Per piacere, stiamo calmi!
- DANTE: Quanti?
- VERONICA: - DANTE?!
- DANTE: Quanti cazzi hai succhiato?
- VERONICA: Lascia perdere…
- DANTE: (urlando) Quanti?
- VERONICA: Va bene, sta’ zitto un secondo e te lo dico! Gesù! Io però non ho mica perso la testa quando mi hai detto quante ragazze ti sei scopato!
- DANTE: C’è differenza! E pure grossa! Quanti?
(si interrompono mentre - DANTE serve una cliente)
- DANTE: Allora?
- VERONICA: Uhm… Più o meno, circa… trentasei.
- DANTE: Cosa? “Più o meno circa trentasei”?
- VERONICA: E parla piano!
- DANTE: Ehi, aspetta, che significa “più o meno circa trentasei”? Compreso me?
- VERONICA: Uhm… Trentasette.
- DANTE: (sempre urlando) Io il trentasettesimo?
- VERONICA: (sbrigativa) Ehm… io devo andare a lezione! (fa per andarsene)
- DANTE: Santo cielo! Trentasette! (rivolto a un cliente) La mia ragazza ha ciucciato trentasette cazzi!
CLIENTE: In fila?
- DANTE: (rivolto a - VERONICA) Ehi! Dove vai adesso?
- VERONICA: Stronzo! Finora non sapevi nemmeno con quanti ragazzi avessi fatto l’amore, visto che mai ti sei sognato di chiedermelo! E fai pure il disinvolto sulle dodoci che ti sei scopato! Io non ho li ho mai scopati dodici ragazzi!
- DANTE: Ah no? Di cazzi però ne hai ciucciati!
- VERONICA: (minimizzando) E va bene: ho fatto qualche pompino a qualcuno…
- DANTE: A “qualcuno”?
- VERONICA: (irritata) …Uno dei quali sei tu! Anzi: sei l’ultimo. Il che significa, se da te sei troppo scemo per capirlo, che io ti sono fedele sin dall’inizio! Con tutti quegli altri ci uscivo prima di incontrarti, per cui se ti ci vuoi fare una malattia fa’ pure, ma non trattarmi come una puttana, visto che tu per primo ti sei dato parecchio da fare!
- DANTE: E va bene, ma perché dovevi fargli un pompino? Perché non andarci a letto come qualsiasi persona normale?
- VERONICA: Scusa, ma che c’è di strano a fare un pompino? Se uno mi piace ci esco, i pomicio, e prima o poi il pompino ci scappa! Ma fare l’amore è diverso! Quello solo con chi amavo!
- DANTE: Mi sento male!
- VERONICA: (dolce) Te ti amo! Non devi stare male.
- DANTE: Ogni volta che ti bacio sentirò il sapore di quei tutti e trentasei!
- VERONICA: (spazientita) Ah! Devo proprio andare: forse più tardi sarai un pochino più lucido!
- DANTE: (tra sé) E io sono il trentasette! Io…
- VERONICA: Ciao - DANTE! (esce dal negozio)
- DANTE: (urlando, mentre - VERONICA si sta allontanando) Ehi: guarda se ti riesce di non succhiare troppi cazzi da qui alla macchina!
(un tizio che bighellonava fuori dal negozio, a quel punto, la segue)
- DANTE: (rivolto al tizio) Ehi! Ehi, tu! Torna subito qui!

A QUESTO LINK POTETE SCARICARE IL FILE AUDIO DELLA SCENA