Libido

C'è qualcosa che non va in me: un forte calo della libido. Ho chiesto consigli a più e più, ma fra tombole e mercanti in fiera non c'è molto tempo per discutere di... Poi giusto ieri come al solito la contro prova, e quel messaggio che proprio non c'entrava niente. Perchè l'ho inviato. Credo che l'abbia letto solo oggi e mi ha risposto difatti. e come al solito poi, dopo che l'ho chiamata, è stato più triste. e neanche "mi sono sentito un uomo a trattarti da signora e a scordarmi quel che è stato".
speriamo vada

A more

Camminavo lungo via Emanuele Filiberto, erano circa le sette e mezza, anche se mi potrei sbagliare, ero uscito da casa all'alba, non riuscivo a dormire. Feci molta strada, ero stanco ed entrai distrattamente in un bar per fare colazione. Mi accomodai su di uno sgabello e ordinai un caffè e un cornetto semplice. Fu allora che lo vidi. Non so, se, e da quanto mi stesse osservando, lo salutai chiamandolo per nome: - Ciao ***!
Mi rispose senza alzarsi dal suo posto, con un bel sorriso che scorsi dietro l'abbondante naso.
- ¿Que tal? - gli domandai scherzando, mostrai di essere di buon umore. Mi rispose per le rime e aggiunse in italiano: - Come mai da queste parti?
Gli spiegai sommariamente lo spiacevole periodo che attraversavo: i problemi che avevo con il mio coinquilino, le sue assillanti lamentele, le richieste continue e inopportune, i malinconici tormenti notturni, le penose scuse infine.

Era domenica. Tornava, mi spiegò lui, dalla stazione Termini, dove aveva accompagnato, dopo averci passato la notte assieme (questo in verità non lo disse ma fui io a sospettarlo), la sua ragazza che anche io conoscevo più o meno bene da più di un poco, almeno ciò era solo quello che lui sapeva di noi.

Sentì che avevo bisogno di aiuto, anche se ci eravamo conosciuti da poco, per una pura casualità qualche sera addietro grazie ad amici comuni.
Si decise per un pranzo da me, immagino che non dovevo avere affatto un bel aspetto.
Raggiungemmo casa mia. Entrando feci un gran baccano per far notare il mio ritorno. Nulla. Pensai fra me e me:
- E' uscito!
Pranzammo in cucina senza pane: pasta al radicchio, insalata di mais, e una Cimay da bere.
Mi raccontò di lui, del suo lavoro, e altre cose che non ricordo.
In frigo avevo un'anguria bella fresca. Gli chiesi se ne volesse. Mi disse che sì, ne voleva. Aprii il frigo e la misi sul tavolo, presi poi un coltello adatto all'operazione taglio.
Mentre mi accingevo a praticare l'incisione il display del suo telefonino si illuminò visualizzando il nome a me intimamente conosciuto.
Raggelai. Lui fece per rispondere quasi seccato. Alzai gli occhi per guardare altrove.
C'era Lui. Era tornato! e sulla porta della cucina mi osservava fumando sornione.
Lo fissai con l'intenzione di fulminarlo con la vista (tipo Nembo Kid). Niente. Continuò a fare il suo sorriso idiota ammiccando ripetutamente compiaciuto verso il mio ospite che parlava al telefono dandogli le spalle.
- Bastardo! - Urlai.
Il coltellaccio lo raggiunse in pieno petto perforandogli lo sterno.
Stramazzo a terra producendo un suono sordo. In gola gli rimasero delle parole, ma non ebbe la forza di far vibrare le pliche vocali:
- /'Tt 'knz 'k l vr'r 'smpr 'bn/ pronunciò
Il mio commensale restò immobile. La mia commuovente scena non l'aveva impressionato un granché.
Solo per compassione mi aiutò ad occultare il cadavere che sminuzzai gettandone a più riprese parte nello sciacquone, e parte nel tritarifiuti.
Ne volevo conservare un po' nella ghiacciaia, gli dissi, per i periodi difficili, non si sa mai, e poi in fondo anche se giunsi a quel gesto estremo non posso dire di avere di Lui solo ricordi spiacevoli anzi...
Mi consigliò, mi esortò di rinunciare a quel patetico progetto. Gli diedi retta non potei fare altrimenti.
Mangiammo finalmente l'anguria, fu anche quello un modo per ringraziarlo. Uscì di casa dicendo in un ghigno:
- Fosse dipeso da me avrei scelto un modo migliore per ammazzare il tempo! - e senza voltarsi scese lentamente le scale.
Solo allora capii perché lo amasse in quel modo.



Grazie a Pasquale e a *** che mi hanno aiutato a stendere questo breve racconto che ti dedico. Grazie anche ad Anna, Michela, Eleonora, Eliana e Federico per i preziosi consigli.

Ritorni

Ritorni 1998
di Zy Tanoamiki

Avevo su una camicia soltanto, non pensavo di trovare una temperatura molto diversa in paese - ogni volta mi stupisco! Ero stanco, troppo in giro da troppo, per qualche tempo volevo solo riposare.- La vita di chi sto' vivendo? – mi sorprendevo a pensare: - La mia? - mi rispondevo rassegnato. Ogni gesto che compivo, non proveniva dall'interno, ma dalla superficie, una mimica espressiva, ma muta al tempo stesso.
Un tassì mi portò via dalla stazione, le uniche parole che l'autista udì da me, un tipo grasso e con pochi capelli in disordine, furono il nome della via all'inizio della corsa e un mezzo grazie al termine, dietro il finestrino abbassato per metà per il freddo, che si era fatto pungente. Varcai la soglia di casa, allegro e sorridente, quasi mi aspettasse chissà cosa chissà chi; nulla invece: la solita puzza di chiuso e il triste disordine dei miei pensieri, palesati su quelle odiose carte che ritrovavo un po' dappertutto. Mi sdraiai sul divano senza pretesa di dover dormire: il sonno venne, ed io gli feci spazio stringendomi sulla spalliera. Mi svegliai come dimentico di quale importante faccenda; erano poche ore che ero tornato, e già sentivo forte l'esigenza di dovere partire di nuovo, ignoravo per dove, ma era quasi un'urgenza - anche se sapevo di odiare gli alberghi e la complice cortesia di portieri e facchini.
Qualcosa mi distrasse per un lasso si tempo di cui non saprei ben quantificare la durata, poi sentii qualcuno bussare deciso la porta. - Siamo noi - una voce di donna chiamava sicura di essere udita. - Sei in casa?. Tacqaui. Lo sportello si chiuse, il motore si accese, il vicino cane abbaio indolente e le foglie s'ingrigirono di polvere. Timidamente scossi la tenda e vidi la vettura riprendere il vialetto di casa dal quale, pensavo, fosse più velocemente giunta poco prima. Perché mi ero negato? Eppure lei era la persone con cui convivevo il tempo, quando non ero da solo o con qualche puttana, non mi interrogai più di tanto, e chiusi le labbra aspirando col naso colante.
Nel pomeriggio lasciai il telefono squillare sul mobile dell'ingresso, la segreteria parlava da sola, odiavo ascoltare i messaggi, ma quell'aggeggio era un regalo, di cui dovevo necessariamente far uso, la odiavo, forse, anche perché chi parlava, in realtà non voleva dire (non dirmi) niente di interessante o di serio. Le pareti, da poco imbiancate, erano tiepide, ed il sole, solo ora ci facevo caso, illustrava la valle che grigia, in parte, e verde, avevo davanti, dietro le opache finestre. Cercavo qualcuno da poter accarezzare, mi resi conto un po' a malincuore di una strana assenza: il gatto - più giusto sarebbe dir gatta o gattina - non ancora si era fatto viva cerano solo dei peli su una sedia in cucina. Di solito sapeva già quando tornavo - non so come facesse - e m'aspetta davanti all'ingresso affamato. Lo cercai tenendo conto delle sue abitudini, mi sovvenne allora, che quello, forse, era il periodo in cui i gatti vanno in amore, e che in quei momenti di richiamo fisiologico, in passato, non l'avevo veduto anche per più due settimane. Lo chiamai ancora un poco, con in mano del cibo in parte avariato, che mi era rimasto nel frigo da quand'ero partito; poi mi spensi e voltandomi lentamente verso la porta, passo passo, passò poco che me la trovai chiusa alle spalle turbato. Certe donne sono sempre in amore, ne conoscevo - non sazio - diverse; altre invece non ci vanno mai e per loro far sesso, è un triste dovere o una scomoda necessita. Io? Io che le giudicavo, e che penso che fuori dal letto abbian poco da dire, io, cosa sapevo in realtà della donna? Delle donne, qualcosa l'avevo imparata qua e là con gli anni, attraverso anche alcune letture, ma della donna, mi accorgevo di non conoscere nulla, e di non avere appreso, né compreso molto, né dalla Romano né dalla Deledda.
Alla sera rincorrevo le mosche, chiamandole con strani nomignoli credendo di distinguere, (spesso l'ho fatto anche con le donne) ad alcune insegnavo la strada per uscire in terrazza, all'aperto libere, altre le uccidevo con eccesso di colpa sui vetri. Era ora di cena, noia e pigrizia mi spinsero a uscire per andare a ubriacarmi in una di quelle trattorie, in cui il padrone non sa chi sei e non ti fa domande, sul tuo ultimo libro o su quello avvenire. Presi l'auto, aprii lo sportello: annusai quell'odore di plastica che si poteva ancora percepire sensibilmente; anche se aveva quasi tre anni e il contachilometri segnava soltanto 6511, la metà fatti da te in quei giorni in cui mi venisti a trovare in Abruzzo.
Scesi in città e girai un poco a vuoto con la testa vuota, solo le buche disseminate di tanto in tanto sulla strada richiamavano in me l'attenzione alla guida. Una piccola insegna, ingiallita dal sole, attirò la mia annoiata curiosità. Parcheggi in un posto riservato ad invalidi ed entrai nel locale borbottando qualcosa per farmi notare, ma non si voltò nessuno nella sala che aveva un pavimento a marmittoni bianchi e neri, e alle finestre, delle tende annerite dal fumo e dal grasso delle cucine. Sentii alle spalle una maleodorante e ingombrante presenza. Il padrone mi si era avvicinato e vigliacco mi chiese più volte: - E' solo?
Non parlavo; poi dissi seccato: - Sì! - cessando immediatamente quella conversazione scomoda, che metteva il risalto il mio stato di cose. Mi fece sedere in un tavolo all'angolo e ordinare qualcosa di cui non ricordo il nome, ma di cui il sapore e il profumo sgradevole e invitante al tempo stesso, li ho ancora adesso in bocca. Il locale si andava svuotando, le ultime persone che sedevano ai due tavoli in plastica occupati ancora col mio, ad uno due vecchi di sicuro amici del proprietario, in un altro una coppia di ragazzi in cerca del posto alternativo - si alzarono quasi contemporaneamente ed uscirono zitte, guardandomi tra la pena e il ribrezzo, dopo aver salutato cortesi.
Mi alzai di lì a poco a fatica anch’io quasi sbronzo, non ricordo di avere pagato, di sicuro l'ho fatto, poi le chiavi, lo sportello, il quadro acceso, le luci, il finestrino aperto, l'aria fredda sulla faccia, dei pedoni, uno scooter, una macchina ferma, il rosso di semaforo e il buio. Sto bene, mi ha detto il dottore: il dolore passerà presto, non preoccupati ho solo bisogno di riposare, in fondo poi era quello che volevo. Il gatto (la gatta) è tornato: è ho paura sia incinta.

Traduzione di Andrea Vecchio

PBI - Un appassionante Trimone


Onesto Trimone, Per un pelo, Montatori, 2002.

L'autore pugliese torna a raccontare in un nuovo romanzo autobiografico l'esperienze sessuali del periodo 1998 - 2001.
Uno spregiudicato ritratto sull'Italia contemporanea che non mancherà di stupire e appassionare lettori e lettrici. "L'entusiasmante ritorno di una delle voci più spudaratamente ingenue della letteratura contemporanea" Il Manifesto.

La sera prima della prima sera (racconto medio dell'uso)

Anche quella volta per mettersi in contatto decisero di fare un uso infinito di mezzi finiti: parlarono a lungo lungamente, ognuno aspettava il suo turno diligentemente ed era: pertinente, breve, preciso e vero. Percorsero con quel antico mezzo di trasporto che è la lingua, numerose strade: alcune ampie e scorrevoli, altre piccole, centrali e trafficate (frequentatissime), altre ancora dismesse ormai.

Ognuno di loro - ognuno di loro aveva in casa un enorme armadio a muro in cui, accanto ai vestiti dell'ultima stagione, c'erano i vecchi indumenti dei padri ed dei nonni - aveva indosso un cappotto, ché faceva freddo ed era autunno inoltrato. Gli alberi del piccolo parco in cui incontravansi quotidianamente nel pomeriggio erano tutti spogli delle foglie: parevano genealogici o sintagmatici quasi.

Antonella aveva mangiato una pesca per colazione, così raccontava, mentre Alessandro era stato a pesca in mattinata, ma sembrava, pareva, parse a molti, che avessero fatto tutt'e due la stessa identica cosa. Tutti erano allegri quella sera e si scherzava con Alessandro perché non riusciva mai a mettere la sorda in casa, solo a Tiziana gli brillano gli occhi e se ne stava zitta zitta. Stefania, che è la più carina e gentile di tutte, se ne accorse ovviamente, e gli chiese: - Tizi che c'hai? - Ma ella non rispose e corse via piangendo ad dirotto, a dirnove. - Credo che si deve fermarla - fece Pietro scosso, ma nessuno gli dette retta: assolutamente, e restarono tutti lì cioè. Anche Marco andò via dopo un poco perché doveva uscire con degli amici francesi di Francia e Alessandro che quella comitiva non gli piacevano, storse il muso salutandolo, ma Marco non se la prese, ma si portò via lo stesso Antonella per fare coppia.

Alessandro e Stefania, dopo che Pietro nascosesi dietro a un dito, restavano soli, egli: - Che facciamo 'sta sera Ste? Lei: - Niente, io debbo andare a casa mia - e si tirò su il cappuccio, il cappuccino, che il freddo incominciava ad essere pungente. I due si salutarono senza baci e Alessandro si rattristì un poco ma poi gli passò, poi.

Al mio amico Francesco Sabatini.

Breve scheda sulla flessione verbale nell'italiano parlto.

Nello standard il sistema verbale italiano possiede una gamma molto ampia
di paradigmi temporali e modali, nel parlato però la suddivisione
dei tempi è abbastanza ridotta. Il parlato una un sitema bi base
costituito da presente (prossimo, remoto, o entrambi a secondo delle
regioni) passato e imperfetto quali tempi deittici, e trapassato prossimo
quale tempo anaforico.

Il presente indicativo, è usato come presente, ma anche
in luogo del futuro semplice (il mese prossimo vado in vacanza)
e del passato, il cosiddetto "presente storico", (stamattina
mi alzo e la vedo che dormiva…
). Queste possibilità
entrambe realizzabili nello scritto, hanno maggiore d'uso nel parlato.

Il passato prossimo è largamente usato al Nord, per eventi passati
sia recenti che lontani nel tempo e nella conversazione il passato remoto
tende a non emergere mai, e pare essere confinato nelle generazioni
più giovani a testi narrativi non autobiografici (favole).

L'imperfetto indicativo è adoperato come passato durativo,
come nello scritto, (aveva nove anni quando ha fatto la comunione),
ma ha nel parlato una gamma di usi modali, più che temporali,
specie come forma controfattuale. Lo troviamo così nelle ipotetiche
dell'irrealtà (se lo sapevo ti portavo il cd che ti dovevo);
e nel discorso riportato per segnalare il futuro del passato (Marco
pensava che era bello volare
) con era al posto di sarebbe stato.
L'imperfetto può perdere tutto il suo valore di passato e passare
all'uso attenuativo. Abbiamo così tutte quelle forme di cortesia
tipiche del passato, attenuativi generici, (volevo sapere se c'è
un treno diretto per Messina
).

A fianco a l'uso modale del imperfetto possiamo collocare la tendenza
a usare il futuro in modo non fattuale, in particolare il futuro
epistemico con cui si esprimono congetture e inferenze sul presente
o il passato (avrò circa trent'anni, saremo stati nell'inverno
del'99
). Nell'italiano parlato gli usi non futurali del futuro sono
circa un terzo sull'insieme delle occorrenze del futuro.

Nella medesima linea si potrebbe notare la nota tendenza ad usare l'indicativo
in luogo del congiuntivo
nelle dipendenti completive (credo che
la tua presenze è importante, spero che è preparata per
l'esame di chimica
), ma il fenomeno è piuttosto riconducibile
a un trattamento delle subordinate come principali (nel parlato il legame
sintattico tende ad essere meno avvertito). Tale tendenza è più
forte nell'italiano meridionale e nelle varietà diastratiche
basse (nella conversazione di studenti universitari settentrionali il
congiuntivo in dipendenti è abbastanza saldo).

Anche l'opposizione di diatesi attivo/passivo è sottoutilizzata:
il passivo è poco frequente nel parlato specie se conversazionale.
L'esigenza di portare a soggetto il complemento è ben svolta
dalla dislocazione a sinistra. Nel parlato le occorrenze del passivo
si incontano nelle frasi prive di agente (se sarò lasciato
solo, sarò fatto a pezzetti
).

L'uso orale include quindi, solo un sottoinsieme delle possibilità
previste dal sistema descritto dalla grammatica, con un conseguente
allargamento del valore di alcune forme o paradigmi. Minore è
la vera e propria devianza dalle regole morfologiche dello standard,
e ben pochi sono i casi in cui la deviazione a carattere così
ricorrente tale da essere considerata una regola.



Scritti inediti di dubbia poesia

I

Che vale tutto questo?
lo scemo alla finestra mi fa il verso: è il merlo mesto.
Ho punto; e poi perverso come se l'avessi fatto
sempre.
Mi dici di te, che donna hai colto
e che felicità (ti ha scelto).
Com'è scontato: lo immaginai
diverso.



II

Passeggio, è stato un caso sai?
Magra e gentile ora ti puoi cercare,
un tempo fui io a farlo, a mettere il naso
fra le tue cosce,
nei canti miei, se attendi,
ti vedrai riflessa
Ora.



III

Ho seminato bene e razzolato
e attendo che passi il mese.
I padri ns., le Marie ave
hanno amato, lo so,
e con questo?
Per il momento, non ho intenzione
alcuna.

Erika e Omar, due ragazzi miti. Di S. Petese e L. Oddi

TORINO - JUVENTUS 3-3. Da quel 21 febbraio due ragazzi (amanti, lo chiariremo meglio) di provincia sono divenuti gli adolescenti italiani più famosi, in barba anche a Valentino Rossi. Cosa accadde realmente quella sera nella villetta a due piani dell'ingegner De Nardo a Novi Ligure resta a tutt'oggi un enigma. Una cosa è certa, questa volta gli albanesi pare proprio che non centrino nulla. Sono stati loro: la figlia modello (invidia dei vicini e dei lontani) Erika - col kappa è meglio- e il fidanzatino (non nelle dimensioni peniene) Omar (vedi … quant'è bel). Luigi Tenco, anche lui bazzicava da quelle parti anni fa, scriveva: "Ah l'amore, l'amore quante cose ti fa fare l'amore" ma forse, quello che hanno fatto i ragazzi terribili, è un po' eccessivo. D'amore si può forse morire, ma è meno consigliato, fosse non altro dal codice di procedura penale (e torniamo a bomba),
assassinare. I due sono ancora fortemente
legati. La loro storia d'amore, secondo i pe-
riti, (e non ci riferiamo ai famigliari rimasti
uccisi) si articola in tre fasi. 1) La fase di
"apertura imenis" in cui decidono di cono-
scersi; 2) la faserefrattaria-onanistica, avvenuta nel periodo estivo; 3) la fase love-story. Omar portava la sua girl-friend a casa di un amico (uno) e lì consumavano la merenda del gallo (n.d.p.). Erika era molto contenta delle prestazioni del suo lui, ed esigeva pare, pure, pratiche sadiche: morsi, tagli, pizziccotti e crudi, sculacciate e chissà quant'altro. Omar era caduto nella sua rete, era un burattino (Pinocchio) e lei era la fata turchina, qui è rintracciabile, forse, il perché della montagna di bugie dette da lui."Fallo anche su di me" gli gridava la studentessa modello ma il garzone del bar restava più o meno indifferente, lui l'Amava (avete notato la 'a' maiuscola) e voleva sposarla (il 28 aprile del 2002) e farci un figlio.
La mamma di lui, diceva di volerle bene come se fosse sua figlia, per fortuna Erika non la ricambiava, si sa di mamma c'è ne una sola. Gli amanti novesi erano una coppia chiusa, avvinghiati nel loro mondo delirante. La loro settimana era monotona, ogni pomeriggio la solita merenda, e purtoppo per la Ferrero non, si trattava di "Kinder Pinguì", (del resto l'ingegnere lavorava per la Pernigotti). Il gigante buono della casa dolciaria torinese, quella sera maledetta era impegnato con l'ora del risveglio, e per motivi di contratto non è potuto intervenire a salvare Susi e il figlioletto. Non tutte le famiglie sono come quelle proposteci dai fratelli Barilla, e non a tutti piacciono i tarallucci, Erika era ghiotta di Flauti però. Questa bella storia d'amore è stata macchiata da un orrendo crimine, e ora a merenda nel Cesare Beccaria e nel Ferrante Apporti, è tempo di pane e acqua.


Antologia di giovani poeti contemporanei

Proprio un bel niente

Ho messo assieme le mie poesie
raccolto i frutti di questa stagione
compiuta, ultimamente.
Un disegno sta in cima a quei fogli
Ludovico me l'ha consigliato:
un conoglio, un'anatra credo;
piace a tutti e qualcuno ci scherza:
Poeta. Ma nessuno per ora vuol dividere
il letto composto, i capelli e il cuscino:
mi cunino da solo, purtoppo.

2001



Me, te o...

Ieri l'altro hai avuto paura
è piovuto, e forte
che hai chiuso le porte
ed il cuore.
Non è stato un dispetto celeste -
Dio come pioveva -
ma un tuo errore,
uno sbaglio di leggerezza
per fiducia soverchia.
Quella pioggia ha fedito anche me,
allangando le arterie e le rughe
ci ha tenuti lontano
e mi ha fatto temere, tremare.
Ora che la piova è cessa
diafana rechi il sole,
e il tuo sorridere.

2002