La fontana guarita

Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
(A. Palazzeshi, La fontana malata)

La senti? è tornata
zampilla per te
che mai l'hai bevuta.
La senti? è in cortile,
oh quanto ha taciuto,
ma ora ti chiama
la vecchia fontana
seccata, che allegra
ha ripreso a cantare
e adesso vorrebbe bagnare
le labbra di fretta ritratte.
La senti? ma forse non senti
sei troppo lontana, la triste
fontana mi pare ora pianga
e voglia di nuovo tacere.

Anniversari


Poche parole per ricordare un giorno doloroso, non per l'Italia tutta, non mi riferisco alla strage di Ustica, di cui ricorre il ventinovesimo anniversario, ma qualcosa di più intimamente privato. Era la mattina del 27 giugno del 2005 a Roma c'era un gran caldo. Lo chiamarono ché era il suo turno, gli consegnarono un camice di carta, lo vidi con i miei occhi andare in bagno, spogliarsi completamente e indossarlo. L'ho visto anche salire con un salto sul lettino e salutarmi, non è più tornato lo stesso.

Omeopata


Conoscete la propoli? a quanto pare quella della Nuova Zelanda, "Propolis bio 30", fa miracoli. Le api neozelandesi che si nutrono di un particolare fiore, il Manuka, producono una propoli 5/6 volte più potente di quella nostrana. Ciò che mi interessa è che alcuni studi (qualcuno mi aiuti a tradurlo) dimostrano che questa sostanza abbia dei benefici su di una patologia che mi sta particolarmente a cuore. Ho già ordinato due flaconi qui e resto in attesa. Ne ho anche parlato con il dottor R. il quale mi ha detto che lui non ne sa niente, ma si informerà e mi farà sapere. Nell'attesa ho programmato una visita dall'osteopata che spero mi scrocchi per benino.

Muse mute


Guardo ancora una volta la Basilica, poi chiudo la finestra e provo a pensare ad altro. E' lì, inanimato, quasi fosse una cosa. Non posso più parlagli ne stringerlo a me. Non può più illudersi, non può più illudermi.

Incipit


Sara distolse lo sguardo della rivista che stava leggendo, un noiosissimo articolo su di un filosofo dalle spiccate doti televisive, per portarlo sull'orologio, che da dove era seduta si intravedeva appena. Gettò la rivista sul tavolino, il volto sornione del filosofo radio-televisivo italiano sbattè violentemente, si alzò dalla poltrona e disse: - Mutter, io vado è quasi ora -. Passò davanti lo specchio dell'ingresso e vi si fermò davanti per sistemarsi i capelli. - Sara vuoi un po' di caffè, è appena uscito? - La madre fermò la figlia quando già aveva aperto la porta di casa. - Ma mamma mi fai fare tardi - disse restando sull'uscio. - E allora, non puoi farlo aspettare cinque minuti? -.
Le donne erano sedute in cucina in silenzio. La madre, Luciana, posò la tazzina rovente: - Allora quest'amico com'è? - chiese sorridendo.
- In che senso? - replicò Sara.
- Non so, robusto, magro, alto, basso? - chiarì Luciana.
- Sarà alto 1,75 - rispose dubbiosa Sara.
- Più o meno come te? - fece la madre.
- Credo di sì - concluse Sara.
- Come credo? - aggiunse Luciana, ma Sara si era già alzata e infilata nel cappotto. Non rispose, la baciò e andò via canticchiando qualcosa.

Edoardo Londi ritorna a scrivere su paginenove dopo lunga assenza. L'incipit che qui vi proponiamo appartiene ad un racconto pubblicato sulla rivista: "Soliti argomenti" è solo un assaggio tanto per farvi venire l'acquolina in bocca. Presto lo posteremo per intero.
A.v.

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Una cena e altre ipotesi (integrale)


Mentre ti parlavo cercando di farmi capire nella confusione di un sabato pomeriggio al centro commerciale, allo stesso tempo mi divertirono ad ascoltare il brusio degli attanti in una lingua che, un po' per volta mi suonava sempre più familiare. Ci trovavamo nel reparto prodotti esotici a cercare una soluzione per una cena ormai da tempo programmata e sempre rimandata. Ero di buon umore e ti chiesi: «Ma sei sicura che possa venire o c'è una rampa di scale, un dosso, un erta salita?» Tu non rispondesti e facesti una smorfia di disappunto. Ci incamminammo verso il parcheggio, ad un tratto ti fermasti portandoti gli occhiali, per i quali fosti felice di ricevere un complimento da una persona che era in fila davanti a noi, sulla testa, e facesti: «Nei sacchetti non trovo il pane l'avremmo dimenticato alla casa?» Tornasti indietro continuando a frugare nei sacchetti. Quando eri già lontana ti urlai: «Scegli un vino, un qualche bianco da scolare da Bianca». Chiusi gli occhi per trattenere quell'immagine, indossavi un vestito che tanto desideravo mettessi, il quale ti scopriva spudoratamente le spalle. Mi fermai in un bar poco distante, c'era gente, cercai di farmi spazio. Seduto ad un tavolino aspettavo che la tua figura comparisse di nuovo, una cameriera mi chiese se volessi ordinare: «Aspetto una persona» dissi. La ragazza andò via, dietro di lei a pochi passi c'eri tu che non vedendomi più, allarmata mi cercarvi con lo sguardo fra la gente. Avevi già il cellulare in mano quando ti chiamai per nome dicendo: «Sono qui». Mi ti avvicinasti infuriata: «Cazzo Leo, vuoi farmi venire un infarto?».

Tornammo a casa accaldati. Apristi la porta con le mani ingombre, mi spinsi dentro a fatica, ero stanco morto. Mentre sistemavi la spesa, lo riconosco non mossi un dito per aiutarti, approfittai per fare un poco di ginnastica davanti la BBC, c'era un episodio della quinta stagione di: "Ashes to Ashes" una serie che guardavo sempre volentieri. Dopo esserti fatta una doccia mi raggiungesti in soggiorno, avevi voglia di preparare qualcosa per la serata a casa di Bianca: «Una torta salata» suggerii. Eravamo in cucina, ti guardavo sporcarti le mani di farina e uova, e ascoltavo il racconto della settimana in cui eri stata via. Mi avvicinai per baciarti portandoti una mano fra i capelli. Ci interruppe l'arrivo della signora Rushdie la quale ci restituiva un cesto di biancheria pulita. Le chiedesti come mi ero comportato: «E' stato bravo?» La signora Rushdie ti sorrise e mi guardò complice: «Certo!» rispose. Squillò il telefono, andasti a rispondere in un'altra stanza mentre io mi intrattenevo con la signora Rushdie sintetizzando il racconto delle tue giornate berlinesi. Ti sentivamo ridere, la signora Ruhdie mi diede un'occhiata strana, poi apparisti nuovamente sulla porta della cucina. «Ma chi era?» ti domandai. «Una collega» facesti tu. «E cosa c'era da ridere tanto?» aggiunsi. «Niente, è matta!» concludesti.

Bianca si era trasferita a Newport seguendo il ragazzo che si occupava di promozione culturale presso il city council della città. Eravamo nei pressi del Transporter Bridge quando spegnendo lo stereo, ascoltavano una suite di Bach, mi chiamasti per nome. «Che c'è gioia?» portandoti il dorso della mano sul volto ti dissi. Per un istante facesti silenzio, poi ti sentii dire: «Lunedì a che ora devi essere a Roma?». Ti risposi, poi cambiammo discorso. Arrivati a casa di Bianca scendesti dall'auto a citofonare, ti serviva una mano, c'erano tre o quattro gradini per entrare in casa. Bianca apparì sulla porta, vi baciaste, dietro di lei c'era il ragazzo, un tipo alto e magro che conoscevi poco. Facesti segno verso di me, e tutti assieme vi avvicinaste alla macchina. Fu Bianca ad aprire lo sportello salutandomi con un bacio.
Ti sedevo vicino ma quella sera mangiai poco e parlai di meno. Tu e Bianca eravate tutte prese da ricordi che non conoscevo. Solo dopo cena scambiai qualche chiacchiera con Toby, il ragazzo alto e magro di Bianca.
Eri stanca e avevi bevuto, il ritorno fu ancora più triste. Una luna piena illuminava un cielo limpido e anche altre cose, adesso, ti apparivano chiare.
Il mattino seguente ero in bagno alle prese con la barba, mentre tu in camera da letto sistemavi meticolosamente i bagagli. In serata saremmo dovuti tornare per qualche giorno in Italia, a causa mia, le solite visite di controllo. Avevo quasi terminato l'opera quando entrasti in bagno sconvolta e ti appoggiasti contro il muro guardandomi, eri in lacrime. Non ci fu bisogno di parole, lessi sui tuoi occhi la mia fine. In cucina era pronta la colazione, la mia tazza di caffè era accanto a una fetta di crostata ai frutti di bosco. Su di un tovagliolo c'erano le mie compresse. Guardavo questa scena che si ripeteva ogni mattina pressoché identica con altri occhi, sapevo che non saresti tornata sui tuoi passi, come io non tornato da tempo sui miei. Le valigie erano pronte, io un po' meno.

Mio padre era seduto nelle scarpe su di una poltroncina di metallo con il mento appoggiato sulle mani. Non so come riuscii a non piangere mentre ci avvicinavamo. Per lui vederci tornare non fu una sorpresa naturalmente. C 'eravamo sentiti solo qualche giorno prima per telefono per fargli sapere l'orario d'arrivo del volo, e il mio umore era decisamente diverso. Dopo averlo salutato cortese, come sempre, mi lasciasti solo con lui dicendo: «Vado a recuperare i bagagli dal carrello»
«Le serve una mano ?» con te passava continuamente dal tu al lei, ti disse. Ti voltasti un attimo dicendo di no e ci lasciasti. Mio padre tornò a sedere e mi chiese: «Come andiamo?» chiusi gli occhi che a quel punto dovevano essere lucidi e feci un respiro profondo, ma lui già non mi ascoltava più era corso in tuo aiuto venendoti arrivare carica come un facchino. Caricaste tutto in macchina e una volta su feci: «Papà dobbiamo andare in stazione» si voltò leggermente verso di te e ti chiese: – Vuoi passare prima a casa dai tuoi?» dopo un secondo di gelo chiaristi: «Sì, ho solo pochi giorni»
Arrivati in stazione ci salutammo, io neanche scesi dall'auto, ci baciammo però un'ultima volta mentre mio padre tirava fuori dal bagagliaio solo le tue valige.

La telefonata, la prima, arrivò mentre sistemavo in camera mia - ancora ingombra dei bagagli composti come sempre da te a regola d'arte - la scrivania del portatile che era completamente invasa dalle fato non ancora catalogate in cartelle e sottocartelle, secondo la gerarchia, anno, mese e luogo. C'erano quelle di Port Meadow con Elisa, quelle fatte a Londra da Ilenia e alcune con te che provai a scattare io con la tua nuovissima Lumix. Era mia sorella a chiamare, non risposi, non ne ebbi la forza, il coraggio.
Più tardi, bevevo un rovente tè al bergamotto, il telefono suonò di nuovo, lo lasciai squillare, sempre mia sorella, finché quel doloroso richiamo al reale, quasi fosse una sveglia che interrompe un sogno che si cerca con tutte le forze per trattenere, non cessò. Immaginavo già la natura di quella telefonata. Mia sorella mi avrebbe salutato zittendo le bambine, e senza entrare subito in argomento mi avrebbe chiesto: «Che fai?» Io non avrei dovuto mostrarle il minimo tentennamento per non farla preoccupare. Poi mi avrebbe chiesto certamente di te. Le avrei a quel punto ricordato semplicemente dove fossi, non sarebbe stato il caso di aggiungere altro, non ne avrei avuto il cuore, sapevo quanto si fosse affezionata a te in quei pochi giorni in cui fummo a trovarla. Immaginavo anche il commento del marito, qualcosa come: "Cosa t'aspettavi?". E immaginavo anche l'espressione che avrebbe avuto quando le figlie, imbattendosi nei libri che abbiamo regalato loro, avrebbero pronunciato il tuo nome. Per adesso volli risparmiarle tutto questo. E volli risparmiare a me lo strazio di sentirmi dire prima di congedarci, con un tono di voce strano, quasi affranto: «E chiama!»

Sarà passato un secolo, qui nessuno pronuncia più il tuo nome, né fa cenno al mio periodo inglese. Io ogni tanto mi imbatto in qualcosa di tuo e in ricordi che non riesco più ad afferrare. Ho trovato un lavoro e una donna qualunque a distrarmi le mani dal foglio.

ricorrenze

Oggi non so bene cosa dire, sono un po' confuso, forse per via dei sogni che ha fatto stanotte. Sogni sempre uguali, mi ritrovo a camminare da solo per strade sconosciute, nei miei sogni non ci sono mai luoghi familiari, in una città che mi sembra sia Roma, senza una vera destinazione, obiettivo, è un girare a vuoto. O meglio, non è che non abbia un obiettivo, e solo che, o non lo ricordo o mi sfugge in continuazione, e questo genera in me un principio d 'ansia che mi sveglia in piena notte, e poi faccio fatica a riaddormentarmi. Intanto ho messo mano al voluminoso manuale del Dottor Costant Reful, non so se si scrive così, adesso non ho qui con me il pesante tomo. Cercherò di determinarlo presto, di divorarlo, ma non ci giurei. Il tempo passa e spero davvero che questo semplice fatto possa essermi d'aiuto.

Al voto, Al vuoto

Si torna a votare per i referendum. No, io non ci andrò, ma non è per colpa mia che il quorum non verrà raggiunto. Tutti, quasi, i partiti sono contrari alle mofiche che una vittoria del sì introdurrebbe. Le urne verranno quindi quasi certamente disertate, sarebbe ora forse di pensare ad una modifica dello strumento referendario, ma qui non è di questo che voglio parlare. Era il giugno del 2005 gli italiani erano chiamati al voto per la modifica di alcune norme in materia di procreazione assistita. Io vivevo e lavoravo a Roma (come si legge nella quarta di copertina di molti illustri autori) e tornai in Abruzzo, all'epoca ero sempre in bolletta, non che le cose siano molto cambiate d'altronde, per esprimere il mio voto nel piccolo seggio a cui appartengo. Ero molto speranzoso che il sì vincesse e che la metà più uno degli aventi diritto si sarebbe recata a compiere il proprio diritto-dovere. Anche personaggi da cui magari non te lo saresti aspettato, come Gianfranco Fini, si erano espressi per il sì. La mattina dopo era già tornato a Roma, quando si seppe che solo il 30% aveva votato andai su tutte le furie, non era in me. Sul tram che mi portava al lavoro pensavo che sette passeggeri su 10 se ne erano fregati altamente e avevo voglia di impiccarne qualcuno agli appositi sostegni. Scesi a piazza Quadrata, lì c'è una chiesa sul portone della quale campeggiava un manifesto in cui c'era un bambino che supplicava di essere risparmiato dal boia. Ero in collera, strappati il manifesto imprecando qualcosa e dicendo: " siete contenti adesso che avete vinto?". Ancora adesso, dopo tanti anni, a ripensarci mi vengono gli occhi lucidi. Di lì a poco sarei stato sottoposto ad un piccolo intervento, come ricordo ironico in questo post, ma qui mi fermo. Per fortuna grazie alla tenacia di alcune persone, a quell'infamia si sta ponendo rimedio, a loro la mia stima e gratitudine.

l'uomo dal fiore in bocca




«Se vuoi facciamo un gioco - ti dico un po' scarlatto -
io metto un fiore in bocca di soppiatto
e poi sto lì a guardarti soddisfatto».
A te aggrada molto questo fatto
così staresti ore come un gatto
tanto che scoppi a piangere ad un tratto.

Le regole di giugno



1) mantenere le promesse fatte a sè stesso; 2) stancarsi per andare al letto distrutto; 3) trovare interessante perfino un ignorante (Mogol); 4) bastarsi; 5) stabilire un limite; 6) terminare il lavoro interrotto; 7) provare a chiedere aiuto, non ci sarebbe niente di male

L'essere di casa


Il lotto non è un edificabile, fa il geometra di ritorno dal catasto. Il geologo dice di stare attenti perchè il terreno non è adatto ad un edificio di questo tipo: al massimo ci si può fare un monolocale, una costruzione in legno, una roulotte una casa con le ruote ovviamente, conclude serafico. L'architetto, che è venuto con la moglie, ha nel tubo il progetto, una casa piena di scale, quasi fosse un barbiere inesperto. L'ingegnere ne ha da ridire, sostiene che fra i due pilastri portanti ci sia troppa luce, che così una struttura non regge, non può tenersi in piedi, e intravede le crepe già su carta. L'arredatore ha proposte interessanti, soltanto poltrone e sgabelli scomodissimi, c'è entusiasmo per tanta lungimiranza. Anche l'idraulico vuole mettere becco, e propone un bagno attrezzato senza l'intervento dei sanitari. Per ora non è tempo di condoni e la casa resta solo su carta, anzi su di un cd chè ora è che i progetti si fanno così. Mi preparo per cena una frittata senza rompere uova e stappo del vino senza fare toccare i bicchieri e guardare negli occhi nessuno.

Seggio

Via Verdi




Anch'io avrei voluto stare con te in via Verdi,
la casa matta in cui abitavi un tempo,
e bere un'ombra al sole di nascosto
seduti come non abbiamo fatto,
saper poi dir qual è il Petrarca al Giotto,
fermare il tuo sorriso in uno scatto.
Son cose assai banali e me ne guardo
da ritenerle adatte alla poesia
lo scrivo per il gusto che ho nel farlo
assieme a una preziosa nostalgia.

la formula del successo di Berlusconi




Ecco la formula del successo di Berlusconi

Tv = corrisponde al numero di persone che guardano le televisioni del Cavaliere elevato al numero di emittenti controllate (3 quando è all'opposizione 6 quando è al governo)

G = il numero di quotidiani e periodici della famiglia Berlusconi o a essa direttamente collegati

K = costante (di) corruzione

P = Le paure da sempre cavalcate da Berlusconi: quella dei comunisti, quella degli extracomunitari ecc.

Qc = il quoziente culturale del popolo italiano

S = la capacità che la sinistra italiana ha di incasinarsi da sola

P2 = nient'altro che la nota loggia


questa formula può essere soggetta a modifiche e ampliamenti, aspetto quindi vostri suggerimenti

A lemma



Una sciarpa, verde, dimenticata distrattamente, resta l'unico segno, il solo indizio tangibile, la traccia esclusiva di una presenza, di un passaggio. Qualcuno mi diceva che quell'oggetto mi donava e io lo portavo orgoglioso in quell'ultimo scorcio di primavera per proteggere il collo e il cuore. Poi mi hanno fatto notare che non era più stagione, e quello stesso oggetto, segno, che prima afferiva ad una specifica area semantica, parole che avevo creduto uscite ormai del tutto dal mio personalissimo vocabolario, ha iniziato ad assumere nuovi significanti, nuove accezioni, note e frequenti in un tempo non troppo lontano. Fino a qualche giorno fa quel segno così mutevole era ancora appoggiato ad una sedia, adesso l'ho fatto riporre, non che sia stato lemmatizzato, questo è pacifico, perché le parole si muovono sempre ma una volta sui libri stan ferme.