Una cena e altre ipotesi (integrale)


Mentre ti parlavo cercando di farmi capire nella confusione di un sabato pomeriggio al centro commerciale, allo stesso tempo mi divertirono ad ascoltare il brusio degli attanti in una lingua che, un po' per volta mi suonava sempre più familiare. Ci trovavamo nel reparto prodotti esotici a cercare una soluzione per una cena ormai da tempo programmata e sempre rimandata. Ero di buon umore e ti chiesi: «Ma sei sicura che possa venire o c'è una rampa di scale, un dosso, un erta salita?» Tu non rispondesti e facesti una smorfia di disappunto. Ci incamminammo verso il parcheggio, ad un tratto ti fermasti portandoti gli occhiali, per i quali fosti felice di ricevere un complimento da una persona che era in fila davanti a noi, sulla testa, e facesti: «Nei sacchetti non trovo il pane l'avremmo dimenticato alla casa?» Tornasti indietro continuando a frugare nei sacchetti. Quando eri già lontana ti urlai: «Scegli un vino, un qualche bianco da scolare da Bianca». Chiusi gli occhi per trattenere quell'immagine, indossavi un vestito che tanto desideravo mettessi, il quale ti scopriva spudoratamente le spalle. Mi fermai in un bar poco distante, c'era gente, cercai di farmi spazio. Seduto ad un tavolino aspettavo che la tua figura comparisse di nuovo, una cameriera mi chiese se volessi ordinare: «Aspetto una persona» dissi. La ragazza andò via, dietro di lei a pochi passi c'eri tu che non vedendomi più, allarmata mi cercarvi con lo sguardo fra la gente. Avevi già il cellulare in mano quando ti chiamai per nome dicendo: «Sono qui». Mi ti avvicinasti infuriata: «Cazzo Leo, vuoi farmi venire un infarto?».

Tornammo a casa accaldati. Apristi la porta con le mani ingombre, mi spinsi dentro a fatica, ero stanco morto. Mentre sistemavi la spesa, lo riconosco non mossi un dito per aiutarti, approfittai per fare un poco di ginnastica davanti la BBC, c'era un episodio della quinta stagione di: "Ashes to Ashes" una serie che guardavo sempre volentieri. Dopo esserti fatta una doccia mi raggiungesti in soggiorno, avevi voglia di preparare qualcosa per la serata a casa di Bianca: «Una torta salata» suggerii. Eravamo in cucina, ti guardavo sporcarti le mani di farina e uova, e ascoltavo il racconto della settimana in cui eri stata via. Mi avvicinai per baciarti portandoti una mano fra i capelli. Ci interruppe l'arrivo della signora Rushdie la quale ci restituiva un cesto di biancheria pulita. Le chiedesti come mi ero comportato: «E' stato bravo?» La signora Rushdie ti sorrise e mi guardò complice: «Certo!» rispose. Squillò il telefono, andasti a rispondere in un'altra stanza mentre io mi intrattenevo con la signora Rushdie sintetizzando il racconto delle tue giornate berlinesi. Ti sentivamo ridere, la signora Ruhdie mi diede un'occhiata strana, poi apparisti nuovamente sulla porta della cucina. «Ma chi era?» ti domandai. «Una collega» facesti tu. «E cosa c'era da ridere tanto?» aggiunsi. «Niente, è matta!» concludesti.

Bianca si era trasferita a Newport seguendo il ragazzo che si occupava di promozione culturale presso il city council della città. Eravamo nei pressi del Transporter Bridge quando spegnendo lo stereo, ascoltavano una suite di Bach, mi chiamasti per nome. «Che c'è gioia?» portandoti il dorso della mano sul volto ti dissi. Per un istante facesti silenzio, poi ti sentii dire: «Lunedì a che ora devi essere a Roma?». Ti risposi, poi cambiammo discorso. Arrivati a casa di Bianca scendesti dall'auto a citofonare, ti serviva una mano, c'erano tre o quattro gradini per entrare in casa. Bianca apparì sulla porta, vi baciaste, dietro di lei c'era il ragazzo, un tipo alto e magro che conoscevi poco. Facesti segno verso di me, e tutti assieme vi avvicinaste alla macchina. Fu Bianca ad aprire lo sportello salutandomi con un bacio.
Ti sedevo vicino ma quella sera mangiai poco e parlai di meno. Tu e Bianca eravate tutte prese da ricordi che non conoscevo. Solo dopo cena scambiai qualche chiacchiera con Toby, il ragazzo alto e magro di Bianca.
Eri stanca e avevi bevuto, il ritorno fu ancora più triste. Una luna piena illuminava un cielo limpido e anche altre cose, adesso, ti apparivano chiare.
Il mattino seguente ero in bagno alle prese con la barba, mentre tu in camera da letto sistemavi meticolosamente i bagagli. In serata saremmo dovuti tornare per qualche giorno in Italia, a causa mia, le solite visite di controllo. Avevo quasi terminato l'opera quando entrasti in bagno sconvolta e ti appoggiasti contro il muro guardandomi, eri in lacrime. Non ci fu bisogno di parole, lessi sui tuoi occhi la mia fine. In cucina era pronta la colazione, la mia tazza di caffè era accanto a una fetta di crostata ai frutti di bosco. Su di un tovagliolo c'erano le mie compresse. Guardavo questa scena che si ripeteva ogni mattina pressoché identica con altri occhi, sapevo che non saresti tornata sui tuoi passi, come io non tornato da tempo sui miei. Le valigie erano pronte, io un po' meno.

Mio padre era seduto nelle scarpe su di una poltroncina di metallo con il mento appoggiato sulle mani. Non so come riuscii a non piangere mentre ci avvicinavamo. Per lui vederci tornare non fu una sorpresa naturalmente. C 'eravamo sentiti solo qualche giorno prima per telefono per fargli sapere l'orario d'arrivo del volo, e il mio umore era decisamente diverso. Dopo averlo salutato cortese, come sempre, mi lasciasti solo con lui dicendo: «Vado a recuperare i bagagli dal carrello»
«Le serve una mano ?» con te passava continuamente dal tu al lei, ti disse. Ti voltasti un attimo dicendo di no e ci lasciasti. Mio padre tornò a sedere e mi chiese: «Come andiamo?» chiusi gli occhi che a quel punto dovevano essere lucidi e feci un respiro profondo, ma lui già non mi ascoltava più era corso in tuo aiuto venendoti arrivare carica come un facchino. Caricaste tutto in macchina e una volta su feci: «Papà dobbiamo andare in stazione» si voltò leggermente verso di te e ti chiese: – Vuoi passare prima a casa dai tuoi?» dopo un secondo di gelo chiaristi: «Sì, ho solo pochi giorni»
Arrivati in stazione ci salutammo, io neanche scesi dall'auto, ci baciammo però un'ultima volta mentre mio padre tirava fuori dal bagagliaio solo le tue valige.

La telefonata, la prima, arrivò mentre sistemavo in camera mia - ancora ingombra dei bagagli composti come sempre da te a regola d'arte - la scrivania del portatile che era completamente invasa dalle fato non ancora catalogate in cartelle e sottocartelle, secondo la gerarchia, anno, mese e luogo. C'erano quelle di Port Meadow con Elisa, quelle fatte a Londra da Ilenia e alcune con te che provai a scattare io con la tua nuovissima Lumix. Era mia sorella a chiamare, non risposi, non ne ebbi la forza, il coraggio.
Più tardi, bevevo un rovente tè al bergamotto, il telefono suonò di nuovo, lo lasciai squillare, sempre mia sorella, finché quel doloroso richiamo al reale, quasi fosse una sveglia che interrompe un sogno che si cerca con tutte le forze per trattenere, non cessò. Immaginavo già la natura di quella telefonata. Mia sorella mi avrebbe salutato zittendo le bambine, e senza entrare subito in argomento mi avrebbe chiesto: «Che fai?» Io non avrei dovuto mostrarle il minimo tentennamento per non farla preoccupare. Poi mi avrebbe chiesto certamente di te. Le avrei a quel punto ricordato semplicemente dove fossi, non sarebbe stato il caso di aggiungere altro, non ne avrei avuto il cuore, sapevo quanto si fosse affezionata a te in quei pochi giorni in cui fummo a trovarla. Immaginavo anche il commento del marito, qualcosa come: "Cosa t'aspettavi?". E immaginavo anche l'espressione che avrebbe avuto quando le figlie, imbattendosi nei libri che abbiamo regalato loro, avrebbero pronunciato il tuo nome. Per adesso volli risparmiarle tutto questo. E volli risparmiare a me lo strazio di sentirmi dire prima di congedarci, con un tono di voce strano, quasi affranto: «E chiama!»

Sarà passato un secolo, qui nessuno pronuncia più il tuo nome, né fa cenno al mio periodo inglese. Io ogni tanto mi imbatto in qualcosa di tuo e in ricordi che non riesco più ad afferrare. Ho trovato un lavoro e una donna qualunque a distrarmi le mani dal foglio.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

integrale, ma non definitiva
l.

Anonimo ha detto...

mi scuso per i refusi, ma mi capirete.
vi porrò rimedio.
l.

Anonimo ha detto...

apportate alcune modifiche al montaggio. va meglio così?
l.

Anonimo ha detto...

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