Abbozzi inediti 4

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- Un caffè! – prendeva sempre un caffè dopo pranzo, spesso qui, nel caffè dell’università dove con un caffè, credo sudamericano o vattelapesca, fanno un caffè davvero eccellente. La cassiera rispose riflessa al suo grazie; si fece spazio verso il bancone nel fumo di sigarette digestive, sulle voci accese di sport ed esistenzialismo, fra lo sventolio di scontrini e, al riparo da cucchiaini branditi e crepitanti pasticcini, ammonì con gli occhi il barista-giocoliere che con tazzine e piattini è abilissimo e svelto, anche se il suo repertorio è un po’ scarso, tutti quanti lo conosciamo bene e anche dopo il caffè qualcheduno, nel vederlo, sbadiglia comunque.
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Ale. 1:07 Affanno. Leggeva piano a fatica, ogni frase era un dedalo in cui smarrirsi alla ricerca di un senso plausibile, ogni virgola, ogni segno d’interpunzione era un invito a distrarsi, ogni capoverso un motivo per chiedere il libro e poggiare la matita insapore: non riusciva a ricordare nulla delle ultime pagine; diede un’occhiata agli appunti in brutta copia di passate lezioni poggiati in bella mostra alla sua destra, cercò di fare collegamenti. 1:32 Sonno. La lampadina della scrivania *bolliva, accese una sua, tornò ad aprire un volume: non sapeva più cosa stava leggendo, le ciglia facevano ombra sul nero dell’elzeviro. Clacson. Steso sul letto non leggeva neanche più: il mostro del polpettone gli si aggirava nello stomaco infierendo sul tenue, il retto bisbigliava qualcosa. Acqua. Pigiò un pulsante: dal televisore urla umane in un italiano barbaro diedero consigli per gli acquisti e per la vita. Aspirina®: effervescenza.
Pausa.
1: 54 Il disagio si allentò: provò a prendere sonno.
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Una mosca si strofinava le zampe sul suo avambraccio sinistro, pareva esortarlo ad agire, doveva esserci un’altra soluzione, c’era! Ma non aveva la forza o il coraggio di trovarla. S’intrattiene col naso, l’indagava con cura in ogni sua parte, poi passò alle orecchie alla destra tocca aspettare. Perché si comportava così? Perché aspettava sempre che fosse lui a telefonarle, e gli diceva quando andava a trovarla di farsi sentire? Così gli toccava passare intere giornate a cercare di non farlo, a trattenersi in ogni modo, a fare mille progetti di abdicazione, a fissare scadenze improrogabili; ma niente non ci riusciva: aveva provato anche a cancellare il suo numero dal telefonino, tutto inutile: lo ricordava a memoria: 06497…
Edo si diceva: - Che male c’è se mi va di sentirla, quale è il problema, del resto siamo rimasti amici? - Ma poi tornava a pensare amaro che il motivo del suo silenzio dipenda solo e soltanto dal fatto che non le faceva molto piacere sentirlo o meglio, che non le andava affatto. Perché allora ottuso tornava periodicamente a farsi vivo con lettere, SMS, squilli e compagnia bella? Su questa rugginosa altalena di arsi e tesi passava interi pomeriggi, finché il peso del rancore non ne spezzava le catene facendolo precipitare in una dannata cabina telefonica e costringendolo a comporre quel numero, indelebile quasi marchiato a fuoco sul petto: 06497…

7 commenti:

Anonimo ha detto...

MA SE ERA GRATIS...IN QUALE CABINA ANDAVI???

Anonimo ha detto...

Bravo Leo!
Emme

SHORK ha detto...

grazie prof.

Anonimo ha detto...

questa storia mi è familiare. penso che sia familiare a tutti. tutta bella, memorabile il passo sull'intestino.

Anonimo ha detto...

CIAO LEO!
SEI UN MITO!
SALUTONI PANCRY

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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