Non l’avevo più vista in giro: - Strano - pensavo di tanto in tanto; altre volte: - Mi farebbe piacere rivederla -; altre ancora: - Era bella però! - ma l’impegni e le distrazioni di quel periodo limitavano le mie riflessioni a queste banali osservazioni.
In aprile, inopportuno mese, mi ero preso qualche giorno di riposo per svuotare la testa e tornare in forma al lavoro, uno progetto per l’editore E. Una specie di lavanda encefalica dopo una massiccia intossicazione culturale.
Sistemavo in cucina i resti della cena della sera prima quando un’ombra oscurò il cestello della lavastoviglie, alzai gli occhi spaventato verso la finestra che dava sul giardino e la vidi. Era lei.
Il suo seno generoso si faceva notare, anche attraverso il vetro unto e polveroso, ma io che gliel’avevo già toccato e assaggiato paziente più volte in passato non feci fatica a trattenermi e a guardarla negli occhi senza distrarmi: - Entra! – e le aprii la portafinestra.
Indossava una gonnina fresca, una di quelle che metteva appena dopo una accurata depilazione.
Si sedette sulla poltrona del soggiorno e rimase allungo in silenzio con lo sguardo rivolto al terrazzo ingombro di una serra di piante ormai secche. Io pure me ne stavo zitto in cucina guardavo un programma di cucina in tv, e zitto le portai da bere un succo alla carota, lo posai sul tavolino cercando di essere garbato, si voltò appena abbozzando una smorfia.
Da quando mi era apparsa in quel modo assurdo alle spalle, era passata più di mezz’ora e ci eravamo detti soltanto:
Lei: - Ciao, come va?
Io: - Bene, sono vivo
Si alzo poco dopo aver svuotato il bicchiere e mi venne a cercare in cucina. - Che fai? - bisbigliò mentre ispezionava l’ambiente con uno sguardo da cagna.
- Provo ad annoiarmi con la tv, ho assoluto bisogna di noia.
- Non esser cretino - e mi baciò di striscio le labbra. Avrei a quel punto, anche potuto togliermi i calzoni e possederla lì in cucina, vicino allo spremi agrumi di Stark, ma rimasi fedele al mio progetto di noia.
- Sei stata fuori? - chiesi per farle usare le labbra in altro modo rispetto a quello che magari aveva in mente.
- Sì - disse - Francia -
- Non da sola immagino? – si era seduta intanto. Non ricordo cosa rispose, fu evasiva se la cavò con un battuta cretina, sulle doti di puttana che gli altri, uomini e no, le attribuivano.
Il resto? Poi come è andata? Un attimo…
Ho ricercato nella agenda di quell’anno la pagina di quel giorno: è bianca. Ricordo di non esserci stato al letto ma… La chiamo, forse lei ha più memoria. Dov’è il numero. 339-707****.
Spento.
Potrei ipotizzare un ricordo, perché no? Mi conosco, ho meglio, conosco la persona che ero quel giorno in aprile e conosco, ho un ricordo, di ciò che lei era in quel periodo. Conosco anche la città dove vivo, casa mia e i posti che ci piacciono e in cui magari saremmo potuti esser stati. L’idea mi piace e ci inizio a lavorare.
Fece per alzarsi, si mostrava arrabbiata indispettita, ghignava, ma la parte le riusciva male, la guardai serio e lei rise di gusto.
- Devo fare pipì – disse carina.
Quando tornò mi si sedette vicino, e accarezzandomi d’amica mi chiese sincera quanto più le riuscì: - Sei arrabbiato con me? – Feci finta di credere al suo interessamento – No, dovrei esserlo? – lei non rispose, si alzò e aggiunse truccata appena d’allegria – Dove mi porti?
Eravamo in via Candia, la facevo guidare - le piace - io ascoltavo la radio e guardavo di fuori distratto, lei confessava qualche cosa di suo, come quando si fanno vedere le foto di ritorno da un viaggio. Mi voltavo verso di lei di tempo in tempo, era bella e faceva l’ingenua. Si fermò a un semaforo, questa volta fui io a baciarla appena, fu stupita ma il verde ed il clacson del solito idiota interruppero ogni cosa. Per un po’ ci fu silenzio.